Caro blog luglio è arrivato e quasi se n’è andato, portandomi il più grande fermento organizzativo degli ultimi anni: il trullino, che oramai è una realtà, da mettere in forma per l’estate, per farci godere l’agosto che tanto abbiamo desiderato, e meritato. E così ogni giorno è scandito da un elenco di oggetti da portare, cambiare, migliorare e ripulire per creare un nido accogliente per noi e per tutti gli ospiti che vorranno venire; poi con l’autunno si penserà alla vera ristrutturazione sopratutto dell’area esterna. Ma questa storia, emozionante e ancora lunga da scrivere, non è il motivo per cui vi scrivo oggi.
Torno infatti per condividere un progetto molto carino fresco ed estivo che ho realizzato negli ultimi giorni.
Dolce murgia : acrilico su legno
Ho eseguito alcuni piccoli dipinti su quadrati di legno massello che tempo fa mi ero fatta tagliare da Leroy Merlin. Dodici. Ma avrei potuto continuare tanto mi sono venuti di getto. Solo pochi colori, molto desaturati, con una predominanza di verdi e azzurri…
Li ho pensati tutti simili, per dare una sensazione di totale armonia e semplicità come è la nostra murgia pugliese.
Cespugli e vegetazione bassa, declivi gentili e cieli, tanta aria qualche pietra … molti orizzonti aperti.
Ho voluto creare un effetto a metà strada tra la delicatezza di un acquerello e la corposità di un olio, ma usando semplicemente gli acrilici. Il risultato sono 12 scenette bucoliche (una sola marina per la verità) perché appunto il mio era un tributo alla campagna.
Abbiamo atteso quasi spasmodicamente che passasse il 2020 e adesso che siamo ormai con tutti e due i piedi nel nuovo anno nessuna magia è ancora avvenuta. E già. Perché è la scienza e non la magia che ci salverà e a lei dobbiamo dare tempo e dare spazio e nel frattempo comportarci nel modo più responsabile possibile.
In questo giorni di fatica e di tempo sospeso, di tempo che chiede spazio, ognuno reagisce a suo modo, magari maledicendo questa quasi totale immobilità sociale, oppure come me, che non ho mai fatto della socialità la mia priorità, che ho preso a guardarmi dentro, e ancora una volta ho trovato un desiderio sempre più prepotente di dimensione semplice, intima, silenziosa e gioiosa.
Ed è così che sono nate “le contrade”, un desiderio a lungo cullato e nutrito che avete già visto nei miei dipinti, nei miei racconti entusiasti, nel mio immaginario condiviso, qui sul blog, spesso senza alcun filtro, e che adesso sta prendendo forma concreta e dura come quella delle chianche. L’amore per la nostra campagna della Valle d’Itria, il sogno di trascorrere un pezzo di vita qui, il desiderio di fare parte di questo paesaggio contemporaneamente duro e delicato e vederlo mutare, cambiare colori con l’ora del giorno, cambiare luce con stagioni, osservare le piante nel loro ciclo vitale, guardare gli uccelli, passeggiare lentamente… È questo il mio sogno, finalmente in realizzazione.
Ma è ancora (ancora?) il momento della pazienza. Ah quanta ne avremo tutti da vendere alla fine di tutto questo? Vi lascio le immagini di questi miei nuovi ciondoli ( e perdonatemi il ritardo e la lunga attesa), ma anche con le parole PERFETTE di Franco Cassano purtroppo proprio oggi scomparso.
“Bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina.
Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia le membra, invidiare l’anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada.
Bisogna imparare a star da sé e aspettare in silenzio, ogni tanto essere felici di avere in tasca soltanto le mani. Andare lenti è incontrare cani senza travolgerli, è dare i nomi agli alberi, agli angoli, ai pali della luce, è trovare una panchina, è portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli affiorare a seconda della strada, bolle che salgono a galla e che quando son forti scoppiano e vanno a confondersi al cielo. È suscitare un pensiero involontario e non progettante, non il risultato dello scopo e della volontà, ma il pensiero necessario, quello che viene su da solo, da un accordo tra mente e mondo.
Andare lenti è fermarsi su lungomare, su una spiaggia, su una scogliera inquinata, su una collina bruciata dall’estate, andare lenti è conoscere le differenze della propria formadi vita, i nomi degli amici, i colori e le piogge, i giochi e le veglie, le confidenze e le maldicenze. Andare lenti sono le stazioni intermedie, i capistazione, i bagagli antichi e i gabinetti, la ghiaia e i piccoli giardini, i passaggi a livello con gente che aspetta, un vecchio carro con un giovane cavallo, una scarsità che non si vergogna, una fontana pubblica, una persiana con occhi nascosti all’ombra. Andare lenti è rispettare il tempo, abitarlo con poche cose di grande valore, con noia e nostalgia, con desideri immensi sigillati nel cuore e pronti ad esplodere oppure puntati sul cielo perché stretti da mille interdetti.
Andare lenti è ruminare,imitare lo sguardo infinito dei buoi, l’attesa paziente dei cani, sapersi riempire la giornata con un tramonto, pane e olio. Andare lenti vuol dire avere un grande armadio per tutti i sogni, con grandi racconti per piccoli viaggiatori, teatri plaudenti per attori mediocri, vuol dire una corriera stroncata da una salita, il desiderio attraverso gli sguardi, poche parole capaci di vivere nel deserto, la scomparsa della folla variopinta delle merci e il tornar grandi delle cose necessarie. Andare lenti è essere provincia senza disperare, al riparo dalla storia vanitosa, dentro alla meschinità e ai sogni, fuori della scena principale e più vicini a tutti i segreti.
Andare lenti è il filosofare di tutti, vivere ad un’altra velocità, più vicini agli inizi e alle fini, laddove si fa l’esperienza grande del mondo, appena entrati in esso o vicini al congedo.
Andare lenti significa poter scendere senza farsi male, non annegarsi nelle emozioni industriali, ma essere fedeli a tutti i sensi, assaggiare con il corpo la terra che attraversiamo. Andare lenti vuol dire ringraziare il mondo, farsene riempire. C’è più vita in dieci chilometri lenti e a piedi che in una rotta transoceanica che ti affoga nella tua solitudine progettante, un’ingordigia che non sa digerire. Si ospitano più altri quando si guarda un cane, un’uscita da scuola, un affacciarsi al balcone, quando in una sosta buia si osserva un giocare a carte, che in un volare, un faxare, in un internettare. Questo pensiero lento è l’unico pensiero, l’altro è il pensiero che serve a far funzionare la macchina, che ne aumenta la velocità, che si illude di poterlo fare all’infinito. Il pensiero lento offrirà ripari ai profughi del pensiero veloce, quando la macchina inizierà a tremare sempre di più e nessun sapere riuscirà a soffocare il tremito. Il pensiero lento è la più antica costruzione antisismica.
Bisogna sin da adesso camminare, pensare a piedi, guardare lentamente le case, scoprire quando il loro ammucchiarsi diventa volgare, desiderare che dietro di esse torni a vedersi il mare. Bisogna pensare la Misurache non è pensabile senza l’andare a piedi, senza fermarsi a guardare gli escrementi degli altri uomini in fuga su macchine veloci. Nessuna saggezza può venire dalla rimozione dei rifiuti. È da questi, dal loro accumulo, dalla merda industriale del mondo che bisogna ripartire se si vuole pensare al futuro. I veloci, i progettanti, i convegnisti, i giornalisti consumano voracemente il mondo e pensano di migliorarlo. La lentezza sa amare la velocità, sa apprezzarne la trasgressione, desidera anche se teme (quanta complessità apre questa contraddizione!) la profanazione contenuta nella velocità, ma la profanazione di massa non ha nulla della sacertà che pure si annida nel sacrilegio, è l’empietà senza valore, un diritto universale all’oltraggio. Nessuna esperienza è più stolidadella velocità di massa, della profanazione che non si sa. “
Buon sabato. Domani è Pasqua e quest’anno ho voluto preparare un dolce antico e tipico della mia regione che è stato un leitmotiv di tutte le “pasque” delle mia infanzia.
La scarcella è fatta impastando una frolla semplice con olio d’oliva (siamo in Puglia non aspettiamoci il burro) e la sua particolarità sta tutta nelle forme fatte a mano tipicamente di colombe, cestini, corone, campane e poi decorate con un uovo sodo e confetti colorati.
Io ho fatto dei cambiamenti perchè gli zuccherini non mi sono mai piaciuti e il biscotto secondo me aveva bisogno della spinta di un pochino di cioccolato fontente extra, ma sopratutto non volevo usare 500 g di farina 00 che ormai non acquisto più da anni.
Dunque ecco la mia ricetta per circa 10 scarcelle:
-200 g farina tipo 2; 100g farina di farro; 75 g farina di mandorle; 75g farina di grano saraceno; 50 g di farina di riso integrale. In totale 500g di polveri
-120 g di zucchero di cocco o zucchero di canna
-1 uovo
-100 g olio extravergine di oliva
-100g latte di avena
-8 g di lievito per dolci
-100 g cioccolato fondente 70%
-10 uova di quaglia freschissime prese in masseria
Ho impastato tutto con la planetaria e poi aiutandovi con un po’ di farina ho steso la frolla ed ho ricavato 10 biscotti a stella (i fondi delle mie scarcelle). Con il restante impasto ho creato delle strisce con cui ho realizzato delle trecce che ho poi chiuso ad anello a misura della base.
Ho cotto tutto a 180° per 30 min circa in forno statico.
A parte ho lessato per 4-5 min le uova di quaglia e le ho asciugate.
Ho sciolto il cioccolato fondente e l’ho usato come collante per attaccare le corone sui fondi. Ho sporcato poi la punta delle uova con il cioccolato fuso e le ho inserite nel foro della scarcella.
Non resta che confezionare e regalare questi dolci che sono simbolo di pace e di vita. Per me sono perfetti per la colazione della domenica di Pasqua e sono un alternativa alle uova di cioccolato spesso poco sane e a costi ingiustificatamente elevati.
Con entusiasmo ritorno a parlare su queste pagine di artigianato ‘made in Puglia’, un tema che mi appassiona molto, cosa di cui non ho mai fatto mistero neanche su queste pagine (vedi qui e qui). La Puglia è così, semplicità e sapienza, luce, terra e cielo; un insieme di tradizioni e suggestioni che si lasciano amare così facilmente, sopratutto se c’è chi riesce a tradurlo in un linguaggio fresco e moderno.
MEST è una nuova realtà che nasce da un team di designer ha trovato il modo di migliorare qualcosa ai miei occhi già perfetto, mantenendo la tipicità, esaltando la semplicità e aggiungendo un tocco “japandi” a complementi e accessori di design tipici della mia Puglia. I materiali naturali lavorati a mano, i colori desaturati e luminosi, il design e il decoro minimale sono alcuni dei tratti distintivi della collezione di Mest.
Conosco bene Enrica (qui il suo blog) una delle menti creative che hanno portato alla nascita di Mest e l’ho intervistata per voi:
Chi c’è dietro Mest?
“Siamo dei professionisti nel campo dell’Architettura e dell’Interior design che hanno scelto di rimanere in Puglia perchè anche se abbiamo per anni sentito il desiderio di andare via, abbiamo compreso la bellezza della parte più autentica nascosta nello stile di vita del caro al vecchio Sud ”
Cosa intendete per “stile di vita del caro vecchio sud”?
“Quel ritmo lento, che non riesce proprio a correre e anzi trova persino il tempo di riposarsi.
Quelle campagne, che ora tutti vogliono visitare, sono diventate, ora per noi, lo scenario preferito dove uno stile di vita basato sulla semplicità e bellezza può essere celebrato e fatto conoscere”
Quindi anche i mestieri “di una volta” ricorrono in questo stile di vita?
“Certo, attraverso gli Antichi Mestieri e le creazioni di chi dalla Puglia non è mai andato via, abbiamo deciso di far conoscere un nuovo Valore aggiunto, una nuova Estetica fatta di linee semplici, senso dell’Unicità e valore della Qualità.
Con Mest vogliamo riuscire a raccontare la parte più bella e vera della Puglia e delle persone che la abitano, rendendola con le proprie quotidiane tradizioni un luogo speciale dove voler tornare”
Come avete immaginato di raggiungere questo obiettivo?
“Attraverso i nostri prodotti che sono una accurata selezione di oggetti che raccontano storie mediterranee.
Scegliamo i nostri partners tra le migliori botteghe artigiane pugliesi,
selezioniamo una collezione di prodotti per la casa e rendiamo accessibile la bellezza mediterranea a chiunque, ovunque.
Rappresentiamo al meglio la nostra collezione, realizzando immagini che ritraggono i prodotti in location di charme per esaltarne le potenzialità, e valorizzare lo storytelling delle botteghe”
Come è possibile acquistare i vostri prodotti?
“Vendiamo direttamente tramite una piattaforma e-commerce (link qui) oggetti di dimensione medio-piccola legati principalmente alla decorazione di interni, selezionati secondo i criteri che ho esposto prima”.
A conclusione dell’intervista gli amici di Mest mi hanno fatto un regalo: hanno voluto riservare uno sconto sul loro shop a chi vorrà: basta usare il codice MEST&CRAFT . Grazie!