Se siete qui a leggere significa che siete degli affezionati e dunque a voi vanno i miei più sinceri ringraziamenti.
È da circa un anno che non passo da qui e chi l’avrebbe mai detto che la voglia mi sarebbe tornata proprio alle 13:08 di un mercoledì di maggio che sono sul bus per tornare a casa.
Non ci sentiamo da tanto qui ma se mi seguite sui social sapete che mi sono data all’ippica! No scherzo, mi sono data alla pittura, quella con la P grande che fa un po’ paura perché è fatta di solventi e tele e colori difficili come quelli ad olio.
Ho scoperto poco più di un anno fa facendo un corso online di avere una certa predisposizione a questa tecnica. Ho provato da principio con un autoritratto perché mi immaginavo cose oscene che nessuno avrebbe digerito, pensavo: “faccio me per iniziare così non devo chiedere scusa a nessuno”!
E invece.
La pittura ad olio è una tecnica che conosco poco e sono certa che ho fatto moltissimi errori ma mi ha dato nuova linfa in un momento di vuoto creativo dovuto ad una certa saturazione nei confronti delle scariate tecniche già provate.
Ed è stata la volta dei miei nipoti, di mio marito, dei miei fratelli e … Dei miei gatti! Mamma e suocera ovviamente e per finire papà.
E dunque è andata così. Scusate ancora l’assenza ma avevo da vivere questa nuova avventura, fatta di facce espressioni e occhi che si formano dal nulla sulla tela e che ti fanno emozionare e anche disperare quando pensi che stai facendo solo un gran pasticcio. Adesso posso dire che esiste una me pittrice che aspetta il momento giusto per potersi esprimere.
Abbiamo atteso quasi spasmodicamente che passasse il 2020 e adesso che siamo ormai con tutti e due i piedi nel nuovo anno nessuna magia è ancora avvenuta. E già. Perché è la scienza e non la magia che ci salverà e a lei dobbiamo dare tempo e dare spazio e nel frattempo comportarci nel modo più responsabile possibile.
In questo giorni di fatica e di tempo sospeso, di tempo che chiede spazio, ognuno reagisce a suo modo, magari maledicendo questa quasi totale immobilità sociale, oppure come me, che non ho mai fatto della socialità la mia priorità, che ho preso a guardarmi dentro, e ancora una volta ho trovato un desiderio sempre più prepotente di dimensione semplice, intima, silenziosa e gioiosa.
Ed è così che sono nate “le contrade”, un desiderio a lungo cullato e nutrito che avete già visto nei miei dipinti, nei miei racconti entusiasti, nel mio immaginario condiviso, qui sul blog, spesso senza alcun filtro, e che adesso sta prendendo forma concreta e dura come quella delle chianche. L’amore per la nostra campagna della Valle d’Itria, il sogno di trascorrere un pezzo di vita qui, il desiderio di fare parte di questo paesaggio contemporaneamente duro e delicato e vederlo mutare, cambiare colori con l’ora del giorno, cambiare luce con stagioni, osservare le piante nel loro ciclo vitale, guardare gli uccelli, passeggiare lentamente… È questo il mio sogno, finalmente in realizzazione.
Ma è ancora (ancora?) il momento della pazienza. Ah quanta ne avremo tutti da vendere alla fine di tutto questo? Vi lascio le immagini di questi miei nuovi ciondoli ( e perdonatemi il ritardo e la lunga attesa), ma anche con le parole PERFETTE di Franco Cassano purtroppo proprio oggi scomparso.
“Bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina.
Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia le membra, invidiare l’anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada.
Bisogna imparare a star da sé e aspettare in silenzio, ogni tanto essere felici di avere in tasca soltanto le mani. Andare lenti è incontrare cani senza travolgerli, è dare i nomi agli alberi, agli angoli, ai pali della luce, è trovare una panchina, è portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli affiorare a seconda della strada, bolle che salgono a galla e che quando son forti scoppiano e vanno a confondersi al cielo. È suscitare un pensiero involontario e non progettante, non il risultato dello scopo e della volontà, ma il pensiero necessario, quello che viene su da solo, da un accordo tra mente e mondo.
Andare lenti è fermarsi su lungomare, su una spiaggia, su una scogliera inquinata, su una collina bruciata dall’estate, andare lenti è conoscere le differenze della propria formadi vita, i nomi degli amici, i colori e le piogge, i giochi e le veglie, le confidenze e le maldicenze. Andare lenti sono le stazioni intermedie, i capistazione, i bagagli antichi e i gabinetti, la ghiaia e i piccoli giardini, i passaggi a livello con gente che aspetta, un vecchio carro con un giovane cavallo, una scarsità che non si vergogna, una fontana pubblica, una persiana con occhi nascosti all’ombra. Andare lenti è rispettare il tempo, abitarlo con poche cose di grande valore, con noia e nostalgia, con desideri immensi sigillati nel cuore e pronti ad esplodere oppure puntati sul cielo perché stretti da mille interdetti.
Andare lenti è ruminare,imitare lo sguardo infinito dei buoi, l’attesa paziente dei cani, sapersi riempire la giornata con un tramonto, pane e olio. Andare lenti vuol dire avere un grande armadio per tutti i sogni, con grandi racconti per piccoli viaggiatori, teatri plaudenti per attori mediocri, vuol dire una corriera stroncata da una salita, il desiderio attraverso gli sguardi, poche parole capaci di vivere nel deserto, la scomparsa della folla variopinta delle merci e il tornar grandi delle cose necessarie. Andare lenti è essere provincia senza disperare, al riparo dalla storia vanitosa, dentro alla meschinità e ai sogni, fuori della scena principale e più vicini a tutti i segreti.
Andare lenti è il filosofare di tutti, vivere ad un’altra velocità, più vicini agli inizi e alle fini, laddove si fa l’esperienza grande del mondo, appena entrati in esso o vicini al congedo.
Andare lenti significa poter scendere senza farsi male, non annegarsi nelle emozioni industriali, ma essere fedeli a tutti i sensi, assaggiare con il corpo la terra che attraversiamo. Andare lenti vuol dire ringraziare il mondo, farsene riempire. C’è più vita in dieci chilometri lenti e a piedi che in una rotta transoceanica che ti affoga nella tua solitudine progettante, un’ingordigia che non sa digerire. Si ospitano più altri quando si guarda un cane, un’uscita da scuola, un affacciarsi al balcone, quando in una sosta buia si osserva un giocare a carte, che in un volare, un faxare, in un internettare. Questo pensiero lento è l’unico pensiero, l’altro è il pensiero che serve a far funzionare la macchina, che ne aumenta la velocità, che si illude di poterlo fare all’infinito. Il pensiero lento offrirà ripari ai profughi del pensiero veloce, quando la macchina inizierà a tremare sempre di più e nessun sapere riuscirà a soffocare il tremito. Il pensiero lento è la più antica costruzione antisismica.
Bisogna sin da adesso camminare, pensare a piedi, guardare lentamente le case, scoprire quando il loro ammucchiarsi diventa volgare, desiderare che dietro di esse torni a vedersi il mare. Bisogna pensare la Misurache non è pensabile senza l’andare a piedi, senza fermarsi a guardare gli escrementi degli altri uomini in fuga su macchine veloci. Nessuna saggezza può venire dalla rimozione dei rifiuti. È da questi, dal loro accumulo, dalla merda industriale del mondo che bisogna ripartire se si vuole pensare al futuro. I veloci, i progettanti, i convegnisti, i giornalisti consumano voracemente il mondo e pensano di migliorarlo. La lentezza sa amare la velocità, sa apprezzarne la trasgressione, desidera anche se teme (quanta complessità apre questa contraddizione!) la profanazione contenuta nella velocità, ma la profanazione di massa non ha nulla della sacertà che pure si annida nel sacrilegio, è l’empietà senza valore, un diritto universale all’oltraggio. Nessuna esperienza è più stolidadella velocità di massa, della profanazione che non si sa. “
A passi svelti anche quest’anno è arrivato e passato il Natale. Dopodomani sarà l’Epifania (che tutte le feste porta via) e al solito mi viene da pensare che le tanto sospirate festività invernali vanno via troppo in fretta. Ma prima di mettermi a correggere i compiti di matematica che tanto graziosamente campeggiano sul mio tavolo da pranzo da un paio di settimane, voglio condividere qui un progetto che ho realizzato quest’anno.
Dal momento che per me é fondamentale tenere traccia sul blog di ognuna delle mie creazioni pubblico anche qui le mie “faccine” sperando di lasciarvi una ispirazione per il prossimo anno con questo progetto semplice e tenero.
Per la ricetta della pasta di bicarbonato trovate le istruzioni nel mio archivio!
manco da un po’ ma tu lo sai che io ti penso sempre… ed infatti adesso sto tornando allegra e colorata con una sorpresona. In questi primi giorni di giugno ho dovuto affrontare fatiche e qualche emergenza famigliare ma che adesso sembrano rientrate (🤞 speriamo) tuttavia dentro di me mi consolavo al pensiero di finire la mia nuova collezione di ciondoli in legno dipinti a mano, dedicata ai cefalopodi e perfetta per l’estate e le vacanze!
Se come me si è cresciuti in un posto di mare, seppure in una città, l’estate fa rima sempre con nuotare, pescare, osservare e scoprire. Vacanza significa indossare una maschera e tuffarsi per scoprire il mondo sommerso. Ogni estate quando vedo bambini eccitati che gridano in mare “guarda! Un pesce!” realizzo che l’essenza della bella stagione sta tutta qui. E mi ricordo di me bambina e adolescente spensierata a nuotare e canticchiare a bocca chiusa e infine me studentessa a scrivere con la matita su una tavoletta a 20 m sotto il livello del mare, i nomi delle specie marine intorno a me con il prof che che faceva di si con le mani e sorrideva con gli occhi dietro a quella maschera da sub.
Eh si l’estate è arrivata, nonostante la nostra noncuranza verso l’ambiente marino è ancora uno dei più grandi doni che abbiamo ricevuto venendo al mondo. E io devo celebrarlo. Con la mia creatività che questa volta ha preso le fattezze di alcuni tra gli animali marini che amo di più: i cefalopodi.
Polpi, calamari e seppie se li hai visti anche solo una volta dal vivo mentre nuotano in mare, non li puoi più dimenticare. Sono elegantissimi con movenze che farebbero impallidire qualunque pesce, sono intelligenti e curiosi e la loro livrea muta repentinamente da un colore all’altro, sono incredibili e incredibilmente carini, capaci, se non sono spaventati, di giocare con le persone e lasciarsi accarezzare.
Ecco gli ingredienti per dare alla luce il simpatico club di cefalopodi colorati e dal tono decisamente kawaii che al momento conta polpi, totani e sepiole. Per tutta l’estate saranno loro a dare colore ai miei outfit anti-caldo, e anti-noia, poi basterà aggiungere una spiaggia e un mare blu.
A tutti voi auguro una estate spensierata e a te caro blog auguro di rivederci prestissimo per parlare di scienza e di creatività. E mi raccomando fatemi sapere se il clubsquid vi è piaciuto!